La psicoanalisi oggi

La Psicoanalisi oggi.

La psicoanalisi ha più di un secolo di vita ed è diffusa in tutto il mondo seppure tra non poche polemiche, recenti o passate. Senza ripercorrere una storia così lunga e senza entrare in un ambito eccessivamente specialistico, si intende mettere in luce in questa pagina lo statuto della psicoanalisi nella cultura attuale come disciplina, come metodo e come prassi terapeutica. Il testo che segue vuole fornire al lettore interessato alcune linee guida di come può essere inteso il lavoro degli psicoanalisti nel contesto attuale. Nel linguaggio corrente, ogni approccio clinico basato sull'ascolto, ogni offerta di aiuto tramite la parola, viene definito sbrigativamente "psicoanalisi" (se non, impropriamente, "psicanalisi"). All'oggettiva complessità dei problemi storici, culturali e, nell'accezione più ampia del termine, politici, si aggiunge la confusione, non solo tra i cosiddetti profani, tra il grande pubblico dei potenziali pazienti, ma anche tra le persone di cultura e tra gli operatori stessi della salute mentale. Molti faticano a capire quali siano le differenze tra psicoanalista, psicoterapeuta, psicologo, psichiatra, a distinguere tra scuole, percorsi formativi, appartenenze istituzionali, tra indirizzi e modelli di cura psichica, a orientarsi su chi la possa somministrare, a cosa e a chi possa servire, su quali ne siano le indicazioni e i limiti. A rigore, psicoanalisti dovrebbero essere coloro che discendono dalla linea freudiana e hanno compiuto un training formativo all'interno dell'IPA (International Psychoanalytical Association) che raccoglie ancora oggi tutte le singole società componenti e che è stata fondata dallo stesso Sigmund Freud nel 1910 a Norimberga, con lo scopo di "coltivare e promuovere la scienza psicoanalitica nel mondo". In Italia, la SPI - Società Psicoanalitica Italiana, fondata da Edoardo Weiss - analizzato da Paul Federn, a sua volta discepolo diretto di Freud - fin dal 1935 entrò a far parte dell'IPA. Disciolta in epoca fascista, si è ricomposta nel dopoguerra; i suoi padri fondatori sono stati Emilio Servadio, Cesare Musatti, Nicola Perrotti.

 Il training Fin dalle origini, l'atteggiamento della psicoanalisi rispetto alla selezione dei candidati è stato di grande rigore. Freud definì 'selvaggi' coloro che pretendevano di curare analiticamente e fornivano interpretazioni ai pazienti senza essersi sottoposti preliminarmente all'analisi e al training  Oggi, secondo le norme delle società componenti l'IPA, salvo qualche variante locale, dopo la laurea in medicina o in psicologia, l'aspirante psicoanalista sostiene tre colloqui a carattere informativo-selettivo con tre analisti didatti. Se l'esito dei colloqui è positivo, il candidato può iniziare la sua psicoanalisi personale; in altre parole intraprende egli stesso un percorso analitico, proprio come un qualsiasi altro paziente, imparando così dalla sua viva esperienza cosa significhi entrare in contatto con il proprio mondo inconscio e con le proprie parti sofferenti. Solo dopo un determinato periodo di analisi (non meno di due anni), il candidato sostiene un nuovo colloquio, in seguito al quale viene stabilito se verrà ammesso a frequentare l'Istituto e a seguire i corsi di insegnamento teorici e clinici. Parallelamente, il candidato comincerà anche a svolgere attività clinica, sotto la supervisione e la consulenza di analisti didatti diversi dal suo analista personale. Questa seconda fase impegna il candidato per circa 4 o 5 anni, durante i quali continuerà sempre la sua analisi personale. Infine, il candidato sostiene una discussione con il comitato del training, corredata da un resoconto scritto dell'attività da lui svolta durante il periodo di formazione. Superata questa ultima fase, viene accettato come membro della società componente e, in ordine al regolamento internazionale, anche dell'IPA.  

Teoria e clinica Nel corso della storia della psicoanalisi si registrano significative evoluzioni; ma in questa particolare disciplina i progressi avvengono, più che per contrapposizione o superamento, per apposizione. Nella maggior parte dei casi i nuovi contributi non fanno decadere i paradigmi originari, con i quali coesistono, si articolano e dialogano. Il costrutto concettuale ideato da Freud è al tempo stesso una teoria metapsicologica, un metodo di indagine sul funzionamento della mente normale e patologica e, soprattutto, una prassi terapeutica. La particolarità della psicoanalisi è che questi tre livelli sono legati da una circolarità intrinseca: ogni concetto astratto nasce dall'esperienza clinica, a partire dalla quale si costruisce la teoria, dalla quale deriva lo specifico metodo. L'intuizione fondamentale della psicoanalisi è l'esistenza dell'inconscio, parte prevalente dello psichismo umano, composto secondo la cosiddetta prima topica di tre livelli: conscio, inconscio e preconscio. La nota metafora freudiana rappresenta la nostra psiche come un iceberg, nel quale solo la piccola parte che emerge dall'acqua corrisponde alla coscienza, mentre l'inconscio corrisponde all'enorme e inquietante massa sommersa. Alla base dello psichismo domina il cosiddetto principio del piacere-dispiacere, che solo tardivamente e con fatica cederà il controllo del funzionamento al più maturo principio di realtà. L'inconscio può essere conosciuto e analizzato soltanto attraverso i suoi derivati: innanzi tutto i sogni (via regia per la dimensione inconscia, secondo Freud), ma anche i sintomi e i lapsus dei singoli individui, e ancora tramite i miti e le leggende dei popoli. L'assunto basilare è che tutti questi materiali, apparentemente assurdi e sconnessi, hanno invece un senso che può essere decifrato nella normalità e nella patologia.

La seconda topica, formulata da Freud in un secondo momento, distingue nel processo di sviluppo l'organizzarsi della struttura psichica, che si differenzia in Io (che non coincide semplicemente con la coscienza), Es (il serbatoio delle pulsioni sessuali e aggressive) e Super-Io (l'istanza normativa, protettiva e punitiva che ciascuno interiorizza a partire dalle relazioni e le successive identificazioni con le figure autorevoli dell'infanzia).  Nel corso del processo di sviluppo, si organizza - o si disorganizza - la struttura, secondo meccanismi di regolazione e specifici meccanismi di difesa che cercano di proteggere l'io dall'angoscia (rimozione, proiezione, scissione, diniego, isolamento). Lo scenario, tuttora vigente, della cura psicoanalitica prevede il paziente steso sul lettino e l'analista seduto alle sue spalle; correlato al cosiddetto setting delle norme formali: 3 o 4 sedute settimanali di 45 minuti, con il terapeuta in silenzioso ascolto, in un atteggiamento di astinenza (di non gratificazione di impulsi e desideri) e di neutralità (di rinuncia a dare suggerimenti, suggestioni, giudizi). Tutto ciò favorisce l'emergenza del livello inconscio e della realtà interna dell'analizzato. La frequenza delle sedute è preliminarmente fissata, con il corrispettivo onorario. Il lettino è diventato lo stereotipo della terapia psicoanalitica nell'immaginario collettivo; e non a caso tale strumento concreto ed esteriore viene adottato imitativamente come elemento di arredo anche da tanti psicoterapeuti di altri indirizzi. Per parte sua, l'analizzato gode della licenza di dire tutto ciò che vuole, ma non di agire; deve lasciar fluire dalla mente le cosiddette libere associazioni, pensieri spontanei che possano consentire l'accesso alla dimensione inconscia. In tale specialissimo clima emotivo, che favorisce una temporanea regressione, si riattivano le antiche dinamiche relazionali: il cosiddetto transfert del paziente sull'analista, che rivive nell'attualità antichi conflitti e passioni con personaggi basilari del suo passato; al quale - come si comprenderà meglio in epoca postfreudiana - si aggiunge la risposta affettiva inconscia del terapeuta, il cosiddetto controtransfert. Lo psicoanalista, nella cornice affettiva e cognitiva della relazione, offrirà contenimento silente alle angosce e formulerà specifiche interpretazioni, seppure consapevole che meccanismi difensivi e resistenze inconsce del paziente sempre si oppongono al processo della cura e al cambiamento, per il motivo - non banale - che cambiare è doloroso. Secondo l'esperienza psicoanalitica, per questa via lunga e faticosa è però possibile ottenere modificazioni profonde e stabili della personalità.

 Elementi basilari ed evoluzioni della teoria psicoanalitica classica Il primo punto saldo è la necessità dell'analisi personale di ogni psicoanalista, poiché noi siamo al tempo stesso medico e medicina. La persona del terapeuta è strumento di indagine del mondo interno del paziente, basata sulla capacità di fare riferimento costante al funzionamento del proprio inconscio quale necessaria garanzia per avventurarsi in quello dell'altro. Proprio a partire da una rigorosa formazione uno psicoanalista si può poi cimentare in tanti tipi di intervento. Questo è un assunto tuttora condiviso (tanto che molti psicoterapeuti di altre scuole si sottopongono ad analisi personale con psicoanalisti). L'analisi del sogno continua poi a essere di importanza cruciale nella teoria e nella clinica psicoanalitica. Oltre un secolo fa, a cavallo del passaggio di secolo, Freud aveva pubblicato Die Traumdeutung (1899) L'interpretazione dei sogni in Opere, vol. III, 1966), sua opera capitale, frutto in gran parte della lunga e sofferta autoanalisi (tuttora il più noto, tradotto, citato e contestato dei suoi scritti). Ancora oggi riteniamo con lui che i sogni siano spia preziosa dei processi inconsci, appagamento illusorio di desideri, compenso ed elaborazione delle frustrazioni del reale, teatro della mente, messa in scena dei conflitti irrisolti. Gli riconosciamo, però, una funzione ulteriore di costruzione del pensiero, di traduzione in immagini del 'non rappresentato' originario. Nella linea di Wilfred R. Bion, non diciamo più che è l'inconscio a creare il sogno, ma piuttosto che è l'attività onirica a creare l'inconscio. La psicoanalisi ha scoperto che molte patologie, apparentemente incomprensibili e prive di senso, hanno origine da vicissitudini relazionali distorte. L'etiopatogenesi psicogena è sempre considerata però, oggi come ieri, nel più ampio quadro della multifattorialità, cioè della concorrenza di tanti variabili fattori interni ed esterni, biologici e psicologici, culturali e naturali. Il rigido nesso di causa-effetto - quale che sia l'ambito nel quale viene ipotizzato - è considerato un grave errore riduzionista. Continuiamo a pensare che il passato infantile e gli eventuali traumi precoci segnino l'evoluzione della personalità adulta; ma non in un senso banalmente lineare. Viene invece rivalutato il concetto freudiano di nachträglickeit, mal traducibile in italiano come 'risignificazione retroattiva'; non solo il passato determina il presente, ma a sua volta - sovvertendo l'ordine temporale - il presente risignifica a posteriori e conferisce nuovo senso alle vicissitudini e ai traumi del passato. Fin dall'epoca di Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie (1905; trad. it. Tre saggi sulla teoria sessuale in Opere, vol. IV, 1967), Freud aveva formulato la convinzione, scandalosa per l'epoca, circa la sessualità infantile: il bambino non più visto come la creatura angelicata della cultura vittoriana, ma come un piccolo perverso polimorfo agitato da angosce e profonde passioni. Sul terreno clinico, l'analisi delle vicissitudini della sessualità nel corso dello sviluppo, durante l'intero arco della vita, mantiene la sua importanza: la sessualità non è solo sesso; ma oggi si dà giustamente maggior rilievo all'aggressività. Il processo di sviluppo femminile normale e patologico è stato radicalmente criticato, a partire dalla visione fallo-centrica di Freud, ma soprattutto delle sue prime allieve, che - come è noto - formularono contro il loro sesso le teorizzazioni più svalutanti e feroci, sancendo un'identità mutilata, dominata dalla triade 'masochismo, passività, narcisismo', condannata a una eterna infanzia senza istinti, consegnata a un destino di invidia e mancanza. Oggi possiamo invece contare su un ricco patrimonio di idee, che hanno riconsiderato il percorso identitario di genere e sessuale delle donne e che necessariamente hanno scardinato e riedificato, nella dimensione relazionale, anche tutti i classici parametri del maschile. Le donne (Lou Andreas Salomè, Helen Deutsch, la figlia di Freud Anna) - fatto non banale - parteciparono senza discriminazioni all'avventura psicoanalitica fin dai primi passi. Può essere interessante sapere che se tra gli psicoanalisti italiani di prima generazione compariva una sola donna (la principessa Alessandra Tomasi di Lampedusa), il rapporto uomo/donna si è andato poi progressivamente spostando nel corso del tempo: un terzo di presenze femminili tra i didatti, circa la metà tra i soci, più della metà tra i candidati. È probabile, quindi, che - analogamente a quanto si riscontra anche a livello internazionale - la psicoanalisi si rivelerà sempre più una professione congeniale al sesso femminile. L'evoluzione più importante e significativa del dopo Freud, dagli anni Quaranta ai nostri giorni, è senza dubbio l'esplorazione dei livelli precoci dello psichismo, cosiddetti 'pre-edipici', e di conseguenza si è affinata l'analisi del narcisismo e delle patologie narcisistiche che derivano da deficit e distorsioni relazionali avvenuti in tali epoche della vita. Ai nostri giorni, l'essere umano a cui guardiamo, nella norma e nella patologia, è complesso, ma non è compatto, e in esso dobbiamo riconoscere la coesistenza di livelli evolutivi e di funzionamento diversi. Nella teoria e nella clinica le due dimensioni intrapsichica (di rapporti tra parti di sé, tra le rappresentazioni delle prime relazioni significative: i cosiddetti 'oggetti interni') e interpsichica (di rapporti con gli altri) sono sempre necessariamente e naturalmente intrecciate. L'intrapsichico è abitato dalle relazioni già vissute e l'interpsichico è condizionato e colorato dalle 'forme' del mondo interno. Fondamento ontologico dell'individuo, la duplice dimensione dell'interiorità (unica ed essenziale) e dell'incontro con l'alterità (punto di riferimento speculare per la costruzione dell'identità) è d'altronde un criterio irrinunciabile non solo per ogni psicoanalista, ma anche per chiunque - in epoca di 'crisi del soggetto' - sia uomo/donna della modernità. È precipuamente nel transfert che si evidenzia come l'interpsichico si coniughi con l'intrapsichico, e come le interpretazioni di transfert si completino, in una complessa circolarità, con le interpretazioni tra gli oggetti interni del paziente, eredi a loro volta delle antiche relazioni. L'approccio a patologie gravi ci confronta infatti con organizzazioni vieppiù instabili, che veicolano nel transfert stati di 'non integrazione' o 'scissi' della persona. Lo strumento precipuo per entrare in contatto con tali livelli cosiddetti preverbali del paziente - nel regime delle sensazioni e degli affetti, più che dei pensieri - diviene il controtransfert dell'analista; il quale è oggi più avvertito di tali implicazioni, più attrezzato all'ascolto, ma non in minori difficoltà. L'attenzione ai livelli precoci ha dato un ruolo fondamentale al registro preverbale degli affetti quali tessuto connettivo della mente, cerniera tra psiche e soma. Emozioni e sentimenti, così intrisi di fisicità, sono ingredienti necessari per la ragione, per lo svolgersi delle funzioni intellettuali 'alte', dall'apprendimento alle scelte etiche ed estetiche. Non esiste però ancora un preciso accordo sulla distinzione metapsicologia tra emozioni, affetti, umori, sentimenti. Il contributo personale dell'analista, dunque, quando si lavora a livelli precoci dello psichismo, è più sostanzioso; il muoversi nel triplo registro cognitivo, affettivo e sensoriale, invoca la sua creatività e generosità; ma lascia anche più margine all'arbitrio.  I meccanismi di difesa sono cambiati: se all'epoca di Freud era in primo piano la rimozione, oggi si parla più spesso di scissione o di regressione all'ambiguità. Resta da stabilire quanto ciò corrisponda a un effettivo mutamento, oppure derivi da un diverso approccio teorico attuale. Rimane comunque un punto delicato trovare l'equilibrio tra le due funzioni basilari del terapeuta: l'analisi dei livelli precoci e l'analisi di quelli più evoluti; il contenimento emotivo, l'ascolto silenzioso e l'interpretazione. L'obiettivo è infatti sempre l'integrazione tra parti e livelli.

 Le indicazioni Storicamente, i primi pazienti di Freud erano affetti da nevrosi ossessiva, isteria, ma è ormai un dato consolidato dall'esperienza che non solo le nevrosi, ma anche le più gravi patologie narcisistiche, le psicosi e le cosiddette 'sindromi borderline' possono trarre giovamento dalla psicoanalisi, purché si trovi il terapeuta disposto e preparato ad assumersene il carico. Poiché l'analisi non ha il compito limitato di eliminare i singoli sintomi, ma si propone di ristrutturare l'intera personalità, favorendo i processi maturativi e integrativi dello sviluppo mentale che le vicende patologiche hanno interrotto e distorto, ciò inevitabilmente richiede un impegno lungo e continuativo. Il problema delle indicazioni al trattamento psicoanalitico si intreccia con quello del cambiamento della patologia che si registra ormai da alcuni decenni nelle nostre società occidentali: le nevrosi classiche sono quasi scomparse, mentre aumentano le patologie identitarie di base, le personalità imitative, i 'come se', i 'falso sé'. Le specifiche sindromi - perversioni, fobie, disturbi alimentari - connotate da particolari strutture e vicissitudini psicopatologiche - si configurano sempre più spesso come sintomatologie aspecifiche e fluttuanti. I criteri di scelta sono comunque molto diversi da quello che comunemente si crede. Non è vero, per es., che solo persone di un certo livello culturale possono intraprendere l'analisi, mentre è vero che una certa qualità di intuizione e di intelligenza rappresenta un valido aiuto. Neppure l'età è un elemento determinante: sempre più, anzi, l'indicazione di analisi si estende dall'età infantile all'adolescenza, fino alla maturità e anche alla vecchiaia. A ogni modo, la più autentica indicazione all'analisi restano l'esigenza e la disponibilità a volere vedere chiaro in sé stessi, il grado di sofferenza e il coraggio di cercare dentro di sé le cause e le soluzioni delle proprie angosce. Evidentemente gli psicoanalisti non fanno solo psicoanalisi. Svolgono anche psicoterapie di indirizzo psicoanalitico, condotte a ritmo e durata ridotti, in cui si cerca di affrontare in modo circoscritto un singolo problema. Talvolta, anche solo una breve serie di due o tre colloqui può aiutare il paziente a focalizzare una difficoltà in un momento di crisi e a superarla poi con le proprie forze. Inoltre, molti si impegnano parallelamente, in ambito sia pubblico, sia privato, in altre aree: interventi di psicoterapia combinati con ricovero in comunità, con trattamenti psicofarmacologici, consultazioni individuali, consulenze in scuole e ospedali, formazione di personale specializzato, attività di insegnamento nel contesto più vasto della cultura e così via. È chiaro che se variano il tipo di intervento, il destinatario e il contesto, deve necessariamente cambiare anche il relativo setting. Fanno parte delle attività cliniche anche le varie psicoterapie derivate dalla matrice psicoanalitica: psicoterapia della coppia, della famiglia, dell'infanzia, dell'adolescenza. Un grande sviluppo hanno avuto le diverse forme di terapia di gruppo, che fanno prevalentemente riferimento al pensiero di Sigmund H. Foulkes e di W.R. Bion. Ciascuna di queste modalità di cura è abitualmente praticata anche da psicoterapeuti di altre scuole. La psicoanalisi può offrire interessanti occasioni di impegno interdisciplinare anche nel campo del lavoro, delle imprese, delle organizzazioni. La cosiddetta medicina 'psicosomatica', nata dalla psicoanalisi, ha attualmente una vasta, ma ambigua fortuna; le superficiali semplificazioni correnti, che propongono rozzi nessi di causa-effetto tra supposte fantasie inconsce rimosse e sintomi patologici del corpo, sono fuorvianti e molto lontane da una corretta visione del rapporto tra mente e corpo. Tutto nell'umano esperire è psicosomatico, in salute e in malattia, poiché la psiche, come insieme strutturale e funzionale, è in continua, dinamica relazione sia con l'ambiente esterno, sia con quello interno corporeo. Nella nostra disciplina è impossibile separare l'attività psichica non solo da quella cerebrale, ma anche da quella corporea nella sua interezza. Il corpo è nella mente, come schema, immagine, rappresentazione di sé; e la mente, per contro, abita il corpo in ogni sua parte: nelle circonvoluzioni cerebrali come nei visceri, nella muscolatura scheletrica come nella pelle, a vari livelli di consapevolezza e di integrazione. Non possiamo prescindere, difatti, né in clinica, né in teoria, da quella globalità psicofisica secondo la quale, come già scriveva Freud, l'io stesso, all'origine, è un io corporeo; e successivamente, nel corso dello sviluppo, le articolazioni più raffinate del pensiero e dell'astrazione sempre coesistono e si declinano con i livelli più arcaici e concreti, consci, preconsci e inconsci, al confine con il biologico. La salute psicofisica dipende dai processi di integrazione, in un costante mobile equilibrio. Coerentemente con tali assunti, dunque, l'approccio psicosomatico dovrebbe mirare soprattutto alla sensibilizzazione dei medici verso una visione integrata della malattia, più che al trattamento di singoli pazienti o di singole patologie.  La questione della scientificità Annosa e ricorrente è la questione della scientificità della psicoanalisi, del suo statuto epistemologico, della possibilità o meno di individuare criteri di validazione delle ipotesi metapsicologiche fondanti e ancor più dell'operare clinico. La psicoanalisi, fondata in parte essenziale sull'autoanalisi di Freud, divisa - ma mai interamente compresa - tra scienze naturali e scienze umane, tra medicina-psichiatria e filosofia, è certo priva di quel marchio di impersonalità che è considerato un requisito precipuo della scienza. Tuttavia, occorre considerare che le critiche dipendono strettamente dal concetto di scientificità al quale si vuole fare riferimento e dal modello di scienza con il quale si opera. D'altronde, la filosofia della scienza stessa è agitata perpetuamente da diatribe, polemiche, vivaci contrasti. Se si adotta il modello logico empirico-razionalista, le modalità di osservazione e di raccolta dei dati clinici, di quantificazione, replicabilità, predizione e falsificabilità della psicoanalisi, sono evidentemente inadeguate. Se invece ci si colloca sul terreno del cosiddetto postmoderno, dove vige una concezione relativista della razionalità - secondo la quale è illusorio pretendere di far derivare la conoscenza dai soli dati dell'esperienza, in quanto la teoria sempre precede l'osservazione - la psicoanalisi può essere riconsiderata nell'ambito delle scienze della soggettività, delle congetture esperienziali e non sperimentali, poiché è comunque necessario prendere atto della specificità delle singole esperienze, e ogni riflessione epistemologica deve tener conto dell'oggetto che indaga. Certo la psicoanalisi non può aspirare a entrare nel novero delle scienze 'dure', ma non è soddisfacente neppure la scelta di campo di stampo ermeneutico, che intende la psicoanalisi come una sorta di 'pratica narrante', in una deriva dell'interpretazione libera e duttile, ma abbandonata all'arbitrio. Più adeguata, in una dimensione euristica, è l'idea direttrice di una tensione verso un metodo; come strategia di ricerca infinita, più che come affermazione preliminare di principi.  Da alcuni anni, sull'onda della diatriba epistemologica, alcuni psicoanalisti nord-americani ed europei si sono dedicati alla cosiddetta 'ricerca empirica', con l'intento di esplorare nuove strategie di indagine più vicine ai criteri oggettivi della comparabilità e della quantificazione dei dati: un territorio di frontiera senza dubbio interessante, non tanto per i risultati (al momento modesti; troppo spesso si assiste a un enorme dispendio di energie per arrivare a riaffermare l'ovvio), quanto per lo stimolo alla riflessione sulle metodologie implicate. La ricerca empirica in psicoanalisi, con il ricorso a questionari, scale numeriche, griglie computerizzate, lungi dal sanare i punti deboli sul piano epistemologico, rischia così continuamente di snaturare la specificità e la qualità dell'esperienza psicoanalitica. Il merito di tutte queste serrate e inesauste critiche è comunque quello di obbligare gli psicoanalisti a chiarire, innanzi tutto a sé stessi, i criteri basilari della teoria e la coerenza del metodo e di non rinunciare allo sforzo di mettere a punto migliori criteri di osservazione.

Psicoanalisi e neuroscienze Un interessante terreno di incontro è quello tra psicoanalisi e neuroscienze. Nel piccolo mondo della psicoanalisi circola infatti attualmente un certo entusiasmo, perché la nostra architettura concettuale si è rivelata in larga misura compatibile con le più recenti e accreditate acquisizioni delle neuroscienze, particolarmente della neurobiologia e della neurofisiologia. Un segno tangibile di tale nuova era è rappresentato dall'enorme mole di lavori che nell'ultimo decennio sono stati pubblicati nella zona di interfaccia tra psicoanalisi e neuroscienze.  I vantaggi di un dialogo non riduzionista con le altre branche del sapere che oggi si rivolgono alla psiche umana, di una reciproca, aperta conoscenza sono evidenti in entrambe le direzioni: i neuroscienziati possono offrirci rassicuranti conferme, ma soprattutto possono limitare taluni perniciosi arbitri di 'fantapsicoanalisi' aiutandoci a non produrre teorie in contrasto con le cognizioni biologiche attuali. Per contro, gli psicoanalisti possono confutare e contraddire le semplificazioni e i riduzionismi che caratterizzano troppo spesso sia le metodologie sia le deduzioni finali degli scienziati 'puri', senza perdere di vista la multifattorialità e il plurideterminismo che regolano ogni vicenda umana. Le qualità dell'analista Infine, è lecito interrogarsi su quali debbano essere i requisiti personali di coloro che si propongonocome terapeuti delle sofferenze altrui. L'analisi personale ha lo scopo di vagliare il progetto del candidato che vorrebbe diventare analista, di confrontarlo con le sue parti malate e sofferenti (che in variabile misura ci sono sempre in coloro che decidono di intraprendere tale atipica professione) anziché avallare il corto-circuito di porsi preliminarmente dalla parte di chi cura. La qualità minimale, ma essenziale dell'analista è comunque la capacità di sopportare l'angoscia: la propria, come premessa indispensabile per reggere poi quella degli altri. Ciò comporta la rinuncia, per quanto è umanamente possibile, alle difese che ostacolano la circolazione inter- e intrapsichica di pensieri e affetti; particolarmente la rinuncia a quelle che potremmo chiamare difese professionali stabilizzate, al servizio delle quali possono andare i livelli più evoluti del pensiero: l'autoreferenzialità delle argomentazioni, l'autogiustificazione del proprio operare, la conferma autogestita delle variazioni delle strategie cliniche. Fin dall'epoca di Freud, d'altronde, amiamo dire che nel nostro mestiere etica e tecnica coincidono, come sforzo verso il riconoscimento dell'alterità. E ciò serve a metterci in guardia dalla tentazione di prendere il posto dell'ideale dell'io dei pazienti, di cercare in essi sotterranee gratificazioni narcisistiche o oggettive e anche di trovare nel lavoro l'intero senso della nostra esistenza, dimenticandoci di vivere.  In conclusione, la psicoanalisi moderna continua a fare riferimento a Freud, ma soprattutto al Freud degli ultimi anni, severo e consapevole dell'interminabilità del lavoro analitico, della dolorosa rinuncia alle illusioni, privo di ogni nota di trionfalismo.  Così la storia travagliata della psicoanalisi prosegue, tra le miserie e le follie private dei singoli, le critiche di taglio epistemologico, politico, religioso, le accuse di falsa scienza, pratica borghese, fragilità teorica, inadeguatezza terapeutica a fronte dei supposti repentini successi degli psicofarmaci. E tutto ciò avviene in contrasto, peraltro, con le straordinarie acquisizioni teoriche e cliniche della nostra disciplina. La psicoanalisi, d'altronde, è in sé una teoria della crisi permanente: l'esigenza di rivisitare i concetti, di sfidare le certezze raggiunte e di rimanere accessibile anche a profonde trasformazioni fa parte della filosofia di fondo come ricerca della verità, sia pure la verità modesta e destituita di onnipotenza del non mentire a sé stessi. La crisi, semmai, è degli psicoterapeuti, attratti da altri più sbrigativi percorsi formativi o da altri apparentemente più oggettivi parametri di scienza. Anche l'esiguità numerica è un problema relativo. Anzi, alcuni aneliti di espansione in nuove aree del mondo e della cultura hanno creato più problemi che vantaggi. La crescita quantitativa non è mai stata un obiettivo precipuo; la storia insegna che fin dagli esordi il maggiore pericolo non proviene dall'ostilità aperta, bensì dai meccanismi imitativi, dall'inglobamento, dal consumo frettoloso e dalla trasformazione/deformazione dello spirito di questa particolare disciplina. La crescita degli psicoanalisti nell'ambito della comunità internazionale, come pure nel nostro Paese, se è istituzionalmente rigorosa, non può che essere lenta e numericamente modesta. È invece vero, purtroppo, che non è facile sopravvivere nella modernità, in una società dominata dalla superficialità e dalla fretta, nella quale i criteri legali per l'esercizio della psicoterapia omologano ormai tutti; nella quale i bisogni di introspezione, di coerenza interiore, di costruzione del senso di sé e della propria storia appaiono indeboliti o forse non si sanno più riconoscere. La questione non è proteggere la psicoanalisi come una rara specie in estinzione, ma non lasciar inaridire le condizioni socio-culturali nelle quali possa essere coltivata quale bene comune da non dilapidare.

 a cura di A.S.