Gli effetti psicologici della chemioterapia nella trasformazione da farmaci sul cervello del malato di cancro, cosiddetto chemobrain e l’assistenza alla terminalità.

Nel termine anglosassone il quadro clinico psicologico viene chiamato “chemobrain”, il cervello chemioterapico, un offuscamento mentale causato presumibilmente dagli effetti neurotossici della chemioterapia. Presenta profondi cambiamenti cognitivi, emotivi, sociali, occupazionali, mettendo a dura prova il senso di sé e la qualità della vita. E’ compromessa la memoria di lavoro,

l’attenzione, la concentrazione, la capacità di elaborare le informazioni in modo rapido, i tempi di reazione, l’abilità visuo-spaziale e le funzioni esecutive (ad esempio la preparazione di una pietanza). I pazienti possono essere particolarmente stressati per le difficoltà ad organizzare e pianificare un progetto e ne risultano compromesse le normali attività quotidiane precedenti alla malattia.

Una nota interessante è quella della neuropsicologa Stephanie Reid-Arndt del Dipartimento di Psicologia della Salute della University of Missouri-Columbia, quando dichiara che i pazienti sono profondamente turbati dai problemi di memoria a breve termine o dalle difficoltà di ricordare i nomi soprattutto se prima di iniziare la cura non sono stati informati degli effetti psicologici della chemioterapia. “I pazienti presentano migliori prestazioni quando capiscono cosa stanno provando. Riducono le aspettative verso se stessi col vantaggio di ridurre lo stress. E’ un’indicazione importante per gli psicologi che accompagnano i pazienti oncologici durante la cura e la riabilitazione.

Purtroppo non esiste una diagnosi ufficiale di chemobrain e i medici nelle loro spiegazioni fanno riferimenti vaghi a fattori genetici o a predisposizioni costituzionali o, ad esempio, minimizzano la sintomatologia collegandola erroneamente ad una diagnosi differenziale di depressione o di ansia generale, oppure rassicurano che i sintomi cognitivi svaniranno una volta completata la terapia. Per un efficace approccio psicoterapeutico, le indicazioni della ricerche invece suggeriscono di:

  1. a) spiegare bene i meccanismi biologici correlati alla cura
  2. b) indicare le connessioni cerebrali sottostanti ai cambiamenti cognitivi
  3. c) identificare i fattori di rischio connessi alla vulnerabilità cognitiva
  4. d) sviluppare nuovi approcci per valutazioni soggettive e oggettive
  5. e) sviluppare o utilizzare i protocolli di trattamento e prevenzione esistenti

Il problema spesso è collegato al fatto che i test neuropsicologici utilizzati non captano i sottili cambiamenti psicologici in corso e successivi alla chemioterapia perché sono stati preparati per quadri neurologici che riguardano prestazioni motorie o cognitive di base (ad esempio le conseguenze di un ictus). Oppure non sono così sensibili perché mancano dati preesistenti alla malattia per individuare le aree psicologiche compromesse e costruire piani di intervento più mirati ed efficaci.

Inoltre diventa fondamentale raccogliere informazioni direttamente dai resoconti personali del paziente, molto diversi dalla standardizzazione dei protocolli neuropsicologici. La percezione riferita dagli stessi pazienti può risultare profondamente significativa per cogliere le sfumature emotivo-cognitive della sfera psicologica messa a dura prova dalla terapia.

Impiegare e migliorare altri test neuropsicologici consente di distinguere le varie dimensioni biologiche, mediche, psicologiche che differenziano la variabilità sintomatologica della chemioterapia, distinguendo la depressione, l’ansia, l’affaticamento, (Uno degli effetti collaterali più frequenti accusati dai malati affetti da cancro, l’affaticamento  viene indicata come quel senso di stanchezza e spossatezza che i pazienti avvertono a prescindere dalle attività svolte. L’affaticamento può essere un sintomo della malattia oncologica, ma anche un effetto collaterale del trattamento o, ancora, come sintomo di una malattia, solitamente di origine psichiatrica, correlata alla patologia primaria. Sintomi tipici della fatigue: stanchezza, spossatezza, dolori alle gambe, difficoltà a salire le scale o a camminare, difficoltà di respirazione anche nello svolgere una leggera attività, insonnia, ipersonnia, difficoltà a compiere normali attività (cucinare, rifare il letto, guardare la televisione, leggere, ecc.), System Memory (MSS) difficoltà nel concentrarsi, frustazione, ansiadepressione; i problemi del sonno, il dolore e i ritmi circadiani dagli effetti dovuti alla condizione fisiologica dell’età del soggetto. Stesso discorso vale per individuare il ruolo delle deficienze nutrizionali, dei cambiamenti metabolici (ad esempio l’inizio coatto della menopausa), dell’anemia, degli squilibri idrici o della somministrazione di altri farmaci (come gli steroidi, “corticosteroidi”) nei problemi cognitivi sopraggiunti al trattamento chemioterapico. Anche le indagini di neuroimaging possono essere d’aiuto per monitorare la neurotossicità della chemiterapia.

Esistono diversi protocolli per la riabilitazione come i training per migliorare le abilità cognitive (come quelle visuo-spaziali o mnestiche), le tecniche cognitivo-comportamentali, le strategie di compensazione e la combinazione di questi approcci. Una serie di test sperimentali alla Indiana University ha messo in evidenza come i pazienti trattati per il cancro al seno, assegnati a training per migliorare le prestazioni di memoria e di elaborazione dell’informazione, abbiano conseguito ottimi risultati e mantenuto il miglioramento nella qualità della vita dopo una verifica compiuta due mesi dopo (follow-up). Migliorare le prestazioni cognitive, allenarle, fronteggiare le difficoltà psicologiche, sono tutti protocolli terapeutici efficaci per superare i fallimenti parziali che accadono durante la quotidianità durante e dopo la malattia.

L’intervento di prevenzione attraverso un’adeguata spiegazione degli effetti psicofisici della chemioterapia e l’azione della psicoterapia per adottare strategie compensatorie, per ampliare la consapevolezza e l’autoregolazione, per arginare le problematiche emotive e “coltivare” positivamente i rapporti con il contesto sociale (famiglia, lavoro, tempo libero), sono gli ingredienti essenziali per aiutare a ricostruire la frattura esistenziale e sociale che una malattia grave come il cancro può generare.

La chemioterapia è una procedura farmacologica impiegata per il trattamento delle neoplasie. Oltre agli effetti terapeutici, la chemioterapia purtroppo causa gravi effetti collaterali fisici. Tuttavia ci sono serie ripercussioni, spesso trascurate, anche nella sfera psichica del paziente. Un recente articolo apparso su Psychological Science approfondisce l’ampia gamma dei problemi psichici conseguenti alla chemioterapia, spesso confusi con lo stress della malattia o dell’azione patogena del cancro. I sintomi del decremento cognitivo non sono insoliti e si calcola che siano diffusi tra il 20% e il 60% dei pazienti che hanno ricevuto una dose standard di chemioterapia.

Articolo riportato su Psychological Science:

A metà strada attraverso il suo trattamento di chemioterapia a seguito di una diagnosi di cancro al seno, Susan, ha iniziato a sentirsi come se una coltre di nebbia si fosse impadronita e avesse arrotolato il suo cervello. Una professionista di grande successo nel suo campo, improvvisamente ha avuto difficoltà a ricordare il giorno del mese, il numero di telefono ed altre cose ancora. "Ogni gesto cominciava ad essere rallentato: vestirsi al mattino, cucinare, cenare”…, spiega: "Uscivo solo per andare in farmacia a comprare dei farmaci per una prescrizione farmacologica ma questo comportava  grandi problemi anche con le indicazioni stradali e il mio senso dell’orientamento spaziale. Mi sono disorientata facilmente, anche durante la guida nel mio quartiere, e mi sono persa in un centro commerciale dove  avevo fatto acquisti per anni. "

Questa esperienza aveva talmente innervosito Susan che lei si convinse che aveva il morbo di Alzheimer. Il suo oncologo dava per scontate le sue preoccupazioni, attribuendole allo stress. Ma lei sapeva che i suoi sintomi erano più che stress-correlato.

La storia di questo cancro al seno non è poi così raro. Tra il 20% e il 61% dei pazienti con cancro al seno che ricevono dosi standard di terapia chemioterapica riportano un certo grado di disfunzione cognitiva.

Per molti pazienti affetti da cancro, l'esperienza di "chemobrain", l’annebbiamento mentale diffuso, si presume essere causato dagli effetti neurotossici della chemioterapia, che potrebbe influenzare profondamente il funzionamento cognitivo, sociale e occupazionale, il senso di sé e la qualità della vita. Anche se le comunità scientifiche e mediche hanno riconosciuto la tossicità di agenti chemioterapici quasi 40 anni fa, è stato solo nei primi anni del 1990 che hanno cominciato ad accorgersi  dell'impatto del chemo brain, (Cervello Chimico), cioè dell’effetto tossico della chemioterapia sul cervello.

Stephanie Reid-Arndt, una neuropsicologa e presidente del Dipartimento di Psicologia della Salute presso l'Università del Missouri-Columbia, lavora con pazienti che hanno sperimentato cambiamenti cognitivi durante e dopo il trattamento del cancro. Dice che le lamentele dei pazienti tendono a concentrarsi intorno a problemi di memoria a breve termine e difficoltà a ricordare le parole. Questi problemi sono particolarmente dolorosi per i pazienti che non sono stati informati circa i potenziali effetti collaterali cognitivi del trattamento del cancro e sono allarmati da questi cambiamenti.

"Abbiamo sicuramente bisogno di fare un lavoro migliore per educare i pazienti", spiega Reid-Arndt. "Le persone che capiscono che quello che stanno vivendo è un noto effetto collaterale da farmaco, generalmente funzionano bene. Sono in grado di adeguare le proprie aspettative, in modo da ridurre il loro stress ".

Purtroppo, non c'è una diagnosi ufficiale di chemobrain  né un decorso comune dei sintomi. Inoltre, solo un sottoinsieme di pazienti esposti a chemioterapia segnala difficoltà cognitive, portando alcuni ricercatori a ipotizzare che alcuni fattori genetici o costituzionali, nonché alcuni regimi chemioterapici, possono predisporre particolari individui a disfunzione cognitiva.

Sintomi

I pazienti possono sperimentare cambiamenti cognitivi in ​​qualsiasi momento durante o dopo la chemioterapia, e questi cambiamenti possono essere di breve durata, persistere a tempo indeterminato, o avere un esordio ritardato. I deficit possono variare da sottili a profondi, ma anche piccoli cambiamenti possono avere un impatto significativo sul funzionamento quotidiano. I ricordi, in particolare, sono comunemente colpiti, come del resto, l’attenzione e la concentrazione, la velocità di elaborazione delle informazioni, il tempo di reazione, le capacità visuo-spaziale, e la funzione esecutiva. I pazienti possono essere particolarmente in difficoltà quando la loro capacità di organizzare e pianificare le attività è compromessa; questi problemi possono rallentare o impedire il loro ritorno al lavoro o alle normali attività sociali.

I pazienti riferiscono anche angoscia quando i medici minimizzano i sintomi riferiti, spesso da loro attribuiti alla depressione o ansia (quale il paziente può o non può avere), o assicurando che i cambiamenti si risolveranno al termine del trattamento.

Scienziati psicologici possono contribuire alla comprensione del fenomeno chemobrain spiegando i meccanismi biologici sottostanti; trovare collegamenti fra le connessioni neurali e i cambiamenti cognitivi; individuare i fattori di rischio per la vulnerabilità cognitiva;

lo sviluppo di nuovi approcci nella valutazione neuropsicologica oggettiva e soggettiva e nuove  strategie di prevenzione potrebbero migliorare i trattamento esistenti.

Le sfide di rilevamento

L’utilizzo di test neuropsicologici per documentare oggettivamente deficit cognitivi correlati alla chemioterapia si è dimostrato difficile a causa di variazioni nel disegno dello studio, della metodologia e nella misurazione e definizione di deficit cognitivo. Parte del problema risiede nel fatto che molti strumenti di valutazione neuropsicologica sono stati progettati fino ad oggi per rilevare decadimento cognitivo in soggetti che hanno subito ictus o demenza - piuttosto che sottili cambiamenti nella cognizione, come nel caso della chemioterapia. Dal momento che i deficit presentati dai pazienti in chemioterapia tendono ad essere da lievi a moderati, essi, attraverso l’utilizzo degli strumenti, possono variare da individuo ad individuo rientrando in un range di decadimento mentale da medio a medio basso. Ma per soggetti il cui funzionamento prima del trattamento era di gamma alta, media o superiore, il risultato dei test in gamma medio bassa rappresenterebbe una perdita cognitiva notevole. Avere misure neuropsicologiche più sensibili, in particolare per le misure più precise delle funzioni esecutive, potrebbe aiutare i ricercatori ed i clinici a documentare più precisamente l'entità del declino cognitivo, progettare, così, trattamenti mirati, e valutare l'efficacia degli interventi di riabilitazione cognitiva.

Strutturare test neuropsicologici più adeguati  porta ad ottenere prestazioni "migliori" in un ambiente clinico, ma non porta al miglioramento delle capacità a svolgere compiti simili nel mondo reale. Per migliorare la valutazione del declino cognitivo nei pazienti in chemioterapia, possiamo prendere in prestito gli strumenti di valutazione sviluppati per altri disturbi. Ad esempio, il Rivermead Comportamentale Memory Test - Terza edizione (RBMT-3). Il RBMT-3 è un test complementare alla WMS-III. Esso fornisce informazioni sui problemi di memoria di tutti i giorni ed è utile per le persone con gravi difficoltà cognitive. Potrebbe, se usato in modo comparato, valutare le differenze che emergono nella valutazione dell’attenzione nella vita quotidiana per le persone in trattamento chemioterapico e monitorare i cambiamenti nella memoria e nell'attenzione nelle differenziazioni prodotte  per le persone con lesioni cerebrali acquisite. La pianificazione di una Task force è stata sviluppata per valutare la disfunzione esecutiva negli adolescenti con trauma cranico, e la prova delle competenze nel test di Grocery per lo shopping è stato sviluppato per testare le funzione esecutive nelle persone con schizofrenia. Tali prove ecologicamente valide potrebbero essere sviluppate per riflettere sulle esigenze quotidiane affrontate dai pazienti in chemioterapia per integrare le batterie standard di test neuropsicologici.

Ascoltare il paziente

Un'altra sfida sulla valutazione è incentrata sul self-report  (test di autovalutazione), che non sempre coincide con i risultati neuropsicologici oggettivi. Alcuni ricercatori hanno suggerito che i test di autovalutazione risultano più attendibili dei test neuropsicologici nella misurazione dei diversi costrutti, o che alcune misure neuropsicologiche potrebbero non essere abbastanza sensibili per rilevare deficit cognitivi sottili, ma la percezione delle funzioni cognitive dei pazienti sono importanti. Diversi studi dimostrano che attraverso questionari self-report  i deficit cognitivi rilevati sembrano presagire in maniera più accurata cambiamenti strutturali o funzionali nel cervello. Ad esempio, Robert J. Ferguson, uno psicologo clinico della salute presso la Eastern Maine Medical Center e colleghi hanno descritto il caso di gemelle monozigoti, una delle quali è stata sottoposta a chemioterapia per cancro al seno. Le gemelle avevano le stesse performance ai test neuropsicologici, ma la gemella che ha ricevuto la chemioterapia ha avuto alle prove, deficit cognitivi più considerevoli, e, ha dimostrato cambiamenti nell'attività cerebrale alla risonanza magnetica funzionale (fMRI), indicativi di un processo di compensazione.

Tali studi mettono in evidenza non solo il valore del self-report della funzione cognitiva, ma dimostrano anche la necessità di sviluppare e convalidare misure self-report  più sensibili che potrebbero integrare le informazioni fornite dalla neuroimaging e misure elettrofisiologiche. Valutazioni Multimethod potrebbero aiutare ad identificare gli individui più vulnerabili agli effetti cognitivi della chemioterapia.

Uno degli aspetti più impegnativi della valutazione neuropsicologica comporta modifiche distintive cognitive attribuibili alla chemioterapia da fattori affettivi e biologici, come la depressione, l'ansia, l’affaticamento, il dolore, il sonno disturbato dai ritmi circadiani, e gli effetti dell'invecchiamento normale. Sebbene i disturbi affettivi non sembrano correlati con le misure neuropsicologiche, essi sono però associati con i rapporti soggettivi della funzione cognitiva. Carenze nutrizionali, cambiamenti metabolici (ad esempio, menopausa indotta da chemioterapia), anemia, squilibrio idro-elettrolitico (ad esempio, la disidratazione), e farmaci (es. steroidi/corticosteroidi) possono anche causare o esacerbare difficoltà cognitive.

Come questi fattori interagiscono con la chemioterapia per aumentare la vulnerabilità cognitiva? 

Questa domanda presenta ai ricercatori  l'opportunità di esplorare come la cognizione  è influenzata da una vasta gamma di fattori affettivi, nutrizionali, metabolici e fattori farmacologici che si verificano nel mondo reale.

I progressi nella neuroimaging, “l’utilizzo di tecnologie di neuroimmagine sono in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l’attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali”. Esse hanno permesso ai ricercatori di iniziare a documentare i correlati neuroanatomici di deficit cognitivi  nel suo collegamento alla chemioterapia. Una varietà di tecniche di neuroimaging - compreso l’MRI, la fMRI, il tensore di diffusione (DTI), la spettroscopia di risonanza magnetica protonica, la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone - sono stati utilizzati per valutare la struttura e la funzione del cervello prima, durante, e dopo la chemioterapia. Ad esempio, i ricercatori clinici hanno documentato i cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello dei pazienti di cancro al seno che hanno ricevuto la dose standard o chemioterapia ad alte dosi. Riduzioni di integrità della sostanza bianca e del volume della materia grigia, insieme a prestazioni ridotte su test neuropsicologici, sono stati osservati nei riceventi chemioterapia ad alte dosi quasi un decennio dopo il trattamento, così come in pazienti con carcinoma mammario che hanno ricevuto la dose standard di chemioterapia. Tuttavia, per la comprensione del significato di questi cambiamenti sarà sempre più necessario utilizzare le tecniche di imaging del tensore di diffusione, la (DTI),  che serve, per l’appunto,  per inferire la connettività della materia bianca del cervello (ad.es. nella trattografia per determinare quale porzione del cervello è connessa con un'altra parte), attraverso l’ uso del calcolo infinitesimale per definire nozioni geometriche di distanzaangolo e volume e studiare le curve di strutture anatomiche nelle quali una dimensione è maggiore delle altre due (per esempio i fasci di fibre nervose della sostanza bianca). Essa sta diventando una delle più popolari tecniche di risonanza magnetica nella ricerca sul cervello, così come nella pratica clinica. Il numero di studi del cervello con DTI è in costante crescita e, nell'ultimo decennio, ha prodotto più di 700 pubblicazioni. L’Imaging del tensore di diffusione convalida e sviluppa sistemi di acquisizione, di elaborazione di immagini, analisi e interpretazione o identifica biomarcatori per determinare se le alterazioni cerebrali rappresentino la disidratazione, l’edema, o la degenerazione neurale, che hanno tutti implicazioni per il recupero cognitivo. Si utilizza, poi, la fMRI per studiare le attivazioni delle aree cerebrali attraverso i diversi processi cognitivi (linguaggio, attenzione, memoria, decisione) evocati attraverso monitor nel normale e nel patologico dei compiti a cui il paziente dovrà rispondere una volta istruito, e, la PET( tomografia a emissione di positroni, radio-isotopo tracciante con emivita breve) che è una tecnica di medicina nucleare e di diagnostica medica utilizzata per la produzione di bio immagini (immagini del corpo). La PET fornisce informazioni di tipo fisiologico, a differenza di TC e RM che invece forniscono informazioni di tipo morfologico del distretto anatomico esaminato. Con l'esame PET si ottengono mappe dei processi funzionali all'interno del corpo atti a  studiare il flusso ematico cerebrale e il metabolismo; tutte le risultanze delle imaging prodotte dai vari metodi indicano le attività dei pazienti mentre eseguono compiti cognitivi  e tali risultati potrebbe aiutare a identificare specifiche regioni cerebrali colpite dalla chemioterapia e far luce sui processi cognitivi alla base dello scarso rendimento ai test neuropsicologici.

I ricercatori hanno appena iniziato a esplorare come la neuroimaging potrebbe essere utilizzata per monitorare neurotossicità indotta dal trattamento tumorale. Ad esempio, i ricercatori guidati da Daniel HS Silverman presso l'Università della California, Los Angeles, hanno proposto l'uso di PET per valutare come i pazienti rispondono alla chemioterapia rispetto al grado di neurotossicità, tanto quanto gli studi cardiaci vengono usati per monitorare la funzione cardiaca nei pazienti sottoposti a chemioterapia cardiotossica.

La Riabilitazione

Nonostante le molte sfide, gli scienziati hanno accumulato sufficienti prove per generare un piccolo corpo di ricerca sulla riabilitazione. Le strategie di riabilitazione cognitiva in genere si concentrano sulla formazione di competenze, di tecniche cognitivo-comportamentali, di strategie compensative, o una combinazione di questi approcci.  Un approccio riabilitativo è stato intrapreso dalla Eastern Maine Medical Center Ferguson, che sta sviluppando un intervento cognitivo-comportamentale sulla memoria, sull’attenzione e sull’adattamento, cosiddetto: Formazione (MAAT), per aiutare i pazienti a gestire meglio il fallimento cognitivo nelle attività quotidiane. A differenza di interventi di riabilitazione cognitiva che si concentrano sul miglioramento della memoria, MAAT insegna l’autogestione e la capacità di coping, che significa far fronte, tener testa, lottare con successo e si riferisce all'insieme delle strategie che permettono di affrontare adeguatamente gli stimoli stressogeni. 

(per consentire ai pazienti di affrontare i deficit cognitivi di tutti i giorni. L'intervento prevede l’educazione dei pazienti circa gli effetti della chemioterapia sulla memoria e l'attenzione, e la formazione in auto-consapevolezza,  autoregolamentazione  e  strategie compensative.

I sintomi di deficit cognitivo chemioterapici connessi possono sovrapporsi con quelli osservati nei deficit di attenzione e iperattività (ADHD), trauma cranico, lesioni ictus-correlati e processi degenerativi connessi con lieve alterazione cognitiva o demenza. Questa sovrapposizione offre l'opportunità di sfruttare strategie di riabilitazione da campi complementari per favorire la riabilitazione cognitiva per il cancro. Per esempio, molti sintomi correlati alla chemioterapia sovrappongono alla lieve insufficienza cognitiva caratteristiche della predemenza. La neuropsicologa Melanie Chandler Greenaway e colleghi hanno sviluppato il Support System Memory (MSS), che consiste  nella formazione di pazienti nell’utilizzo di un notebook-memoria. L'MSS è stato sviluppato per aiutare i pazienti con decadimento cognitivo caratterizzato da lieve amnesia che compensano e si adattano alla perdita di memoria. In un piccolo studio randomizzato, l'intervento MSS ha prodotto miglioramenti nelle attività quotidiane e nella memoria. Allo stesso modo, i pazienti esposti a chemioterapia comunemente lamentano disfunzione esecutiva, che è anche un sintomo centrale della ADHD. I ricercatori hanno potuto studiare l'uso di formazione di competenze organizzative progettato per i bambini e gli adulti con ADHD per aiutare i pazienti alle prese con chemobrain. ( a proposito del ADHD, della sindrome da deficit di attenzione e iperattività vorrei discutere con voi le modalità di questa sindrome alla luce del funzionamento dell’inconscio)

Riassumendo:

La chemioterapia viene comunemente somministrata dopo altri trattamenti contro il cancro, come le radiazioni o interventi chirurgici, per distruggere eventuali cellule tumorali residue e per aiutare a prevenire il cancro ritorni. Questo tipo di terapia si chiama terapia adiuvante. Insieme a questi trattamenti potenti giungono lamentele da persone di "non essere in grado di pensare con chiarezza" o "avere un ricordo sfocato." Se avete sperimentato questo, non è tutto frutto dell’organizzazione del tuo pensiero ma dovuto agli effetti della chemioterapia, qualcosa che le persone con cancro hanno soprannominato "chemobrain".

Molti degli effetti collaterali della chemioterapia sono ben noti. Essi comprendono l'affaticamento , la nausea e il vomito nonchè perdita di capelli. Le persone non si aspetta un declino delle funzioni mentali, che comprendono il pensiero, la memoria, le competenze linguistiche e la concentrazione. Non è chiaro come o perché la chemioterapia può influire su queste competenze. Alcuni ricercatori ritengono che i farmaci possono incidere direttamente sulle aree cerebrali che controllano queste funzioni.

Alcuni studi pubblicati hanno riportato il fenomeno del chemobrain.

Definizione di un buon funzionamento

La funzione cognitiva non è così facilmente riconosciuta come altri effetti collaterali, come la perdita di capelli o nausea . I sintomi sono spesso vaghi e sottili. I sintomi possono essere attribuiti alla depressione, alla stanchezza, allo stress o all’ansia, che sono spesso sentiti dalle persone con recente diagnosi di cancro al seno oppure come conseguenza di un nuovo trattamento.

E’ necessari fissare degli standard di test neuropsicologici per chemobrain. I pazienti devono essere testati prima di iniziare la chemioterapia e per molti anni dopo che è stato fatto. Alcune funzioni cerebrali misurate potrebbero includere:

L’attenzione

La Memoria visiva o verbale, test che può essere di stimolo al fine di richiamare alla memoria parole e/o oggetti presentati.

La Velocità psicomotoria, attraverso la quale può essere controllata quanto velocemente e con che precisione una persona usa le mani per un determinato compito.

L’utilizzo di un test di fluenza verbale, in cui viene chiesto di nominare dalle iniziali di lettere presentate in successione  per sperimentare quante più parole è possibile ricordare in un tempo definito.

Come affrontare problemi invalidanti

L'impatto di chemobrain varia per ogni persona. Una perdita di memoria o di concentrazione può essere più invalidante per alcune persone rispetto ad altre, a seconda del loro stile di vita e uso quotidiano di queste funzioni. Per esempio, se una donna è occupata in una miriade di cose da fare ogni giorno, le esperienze di questi cambiamenti sottili, potrebbero davvero procurarle un trauma con la  lettera T grande. Nell’attesa che se ne sappia di più, ecco alcuni suggerimenti per affrontare i sintomi chemobrain:

 Evita distrazioni. Quando si cerca di concentrarsi su un compito, come pagare le bollette o stare attenti alla cottura dei cibi, si dovrebbe farlo in un ambiente calmo, tranquillo. Fuga dal rumore di fondo del televisore o dal rumore dei bambini che giocano nelle vicinanze.

Pratica compiti difficili. Se è necessario affrontare un compito complesso, si consiglia di praticarlo fino a che diventi molto familiare, ripetere e fissare i passaggi da memorizzare.

Sottoponiti ad un Check-in per verificare il funzionamento cerebrale. Se ti senti distanziato da te stesso o la tua mente vaga, prova a chiederti: "Che cosa sto facendo in questo momento?" o "Che cosa sto pensando?" Questo ti evita di andare alla deriva e ti aiuta a rimettere a fuoco i pensieri. Potresti farlo con un richiamo acustico con una sveglia per es…

Scrivi il più possibile. Tieni un diario e una pianificazione  quotidiana. Scrivi frequenti elenchi di attività e registra un promemoria quotidiano. La scrittura impegna tutta l’attività delle aree acustiche, visive e motorie del cervello.

Organizzati per avere un luogo specifico, sempre lo stesso, nel riporre  le cose in casa e/o in ufficio in modo che non devi stare sempre a cercarle in posti diversi.

Potenzia la tua mente. Esercita la tua mente come un muscolo. Prova cruciverba,

ascolta musica a te congeniale, balla, fai sport da solo/a o con i tuoi bambini, o fai qualsiasi cosa divertente che ti tiene impegnato/a e stimolato/a. Questo può anche aiutare a prevenire o a controllare la depressione e lo stress.

Gestisci lo stress e dormi a sufficienza, potenzia  l'attività fisica. Alti livelli di tensione ormonale diminuiscono  la nitidezza mentale, così come la mancanza di esercizio fisico e il riposo.

Usa dispositivi mnemonici, come piccole frasi o canzoni orecchiabili, che ti aiutano a ricordare le cose.

Chiedi aiuto alla tua famiglia e agli amici, o a un professionista. Lascia che la tua famiglia sappia che stai attraversando un periodo difficile di messa a fuoco dei problemi e spiega che puoi avere bisogno di aiuto o di un promemoria per eseguire alcuni compiti. Se sei preoccupato per la tua memoria o  per la tua attenzione, consulta un neuropsicologo. Questo è uno psicologo che si specializza nello studio del rapporto tra cervello e comportamento. Può essere in grado di darti ulteriori consigli personalizzati. Chiedi al tuo medico per un invio.

Riassumendo sugli esercizi indicati:

1) Evitare distrazioni mantenendo la mente concentrata su una sola cosa

2) Chiedere alle persone di ripetere le informazioni

3) Compiere compiti pratici

4) Inserire le informazioni, contestualizzandole

5) Utilizzare un organizzatore quotidiano progettando la giornata riempiendola di cose da fare

6) Tenere un diario

7) Appiccicare  in luoghi visibili i promemoria

8) Organizzarsi sempre

9) Mettersi alla prova esercitando la memoria con esercizi e problemi di difficoltà   crescente

10) Gestire lo stress

11) Dormire il più possibile con continuità per favorire l’attività onirica

12) Aumentare l'attività fisica

13) Utilizzare i dispositivi mnemonici (uso di formule o filastrocche per aiutarsi a ricordare)

14) Risolvere i cruciverba

15) Chiedere aiuto quando ci si accorge di non potercela fare da soli. Il profilo psicologico del malato in fase terminale e della sua famiglia.

 

Il profilo psicologico del malato in fase terminale e della sua famiglia (Marcella Tamburini)

L’immaginario collettivo

Sono molteplici gli angoli di lettura relativi alla percezione ed agli atteggiamenti

verso la morte. I risultati di un’indagine realizzata dalla Fondazione Floriani,

Politeia e Makno, effettuata su di un campione di quasi 1000 soggetti rappresentativi

della popolazione italiana, possono essere di ausilio nel realizzare alcune riflessioni

sull’immaginario collettivo in tema di morte e morire.117

L’osservazione delle risposte date dalla popolazione sana fa emergere come

(Tab. 1):

1) la morte faccia meno paura della malattia e della sofferenza fisica;

2) pensando alle cause di morte viene in mente prima di tutto il cancro;

3) la paura ed un profondo dispiacere sono i principali sentimenti che suscita il pensiero di morire;

4) il maggior turbamento è per la vita e per chi si lascia;

5) più di un terzo degli intervistati ritiene che l’anima possa sopravvivere al corpo;

6) la fede religiosa può rendere meno drammatico il pensiero della morte;

7) è meglio non avere la coscienza di essere in punto di morte;

8) è meglio essere messi a conoscenza di avere una malattia inguaribile e mortale;

9) sono preferibili delle cure che abbiano come scopo principale la riduzione della sofferenza 

10) è meglio trascorrere nella propria abitazione gli ultimi giorni di vita.

Tabella 1

Distribuzione di frequenza delle risposte alle domande del questionario

1 - COSA TEME DI PIU’ TRA QUESTE COSE?

%

La malattia, la sofferenza fisica 57

La morte 20

L’invecchiamento 14

Nessuna in particolare 5

Altro 3

Non so - non risponde 1

2 - PENSANDO ALLE CAUSE DI MORTE, COSA LE VIENE IN MENTE

SOPRATTUTTO TRA LE SEGUENTI?

%

Il cancro 36

Un incidente stradale 19

L’infarto 17

La guerra e la violenza politica 12

L’AIDS 8

Altro 4

Non so - non risponde 4118

3 - PUÒ DIRCI QUALE SENTIMENTO PREDOMINANTE LE SUSCITA IL

PENSIERO DI DOVER MORIRE?

%

Paura 26

Profondo dispiacere 20

Rassegnazione 18

Serenità 9

Indifferenza 5

Curiosità 3

Non ci penso 13

Altro 3

Non so - non risponde 3

4 - CHE COSA LA TURBA DI PIU’ AL PENSIERO DELLA MORTE?

%

Il rimpianto per la vita e per chi si lascia 51

L’idea di non esserci più, della fine, del nulla 22

Il pensiero di quello che succederà “dopo” 10

Niente di particolare 11

Altro 2

Non so - non risponde 4

5 - LEI CREDE IN UNA VITA DOPO LA MORTE? E SE SÌ, COME SARÀ

QUESTO DOPO?

%

Sì, credo nella vita dell’anima 37

Non immagino cosa possa avvenire 19

Non ci credo, dopo la morte non c’è nulla 19

Sì, credo ad un “dopo” come modo di essere diverso,

ad esempio come energia che si diffonde,

o come vita della coscienza 10

Sì, credo nella reincarnazione (continuazione

della vita sulla terra, sotto altre forme) 4

Preferisco non pensarci 6

Non so - non risponde 5119

6 - SECONDO LEI, IN GENERALE, C’È QUALCOSA CHE PUÒ RENDERE

IL PENSIERO DELLA MORTE MENO DRAMMATICO?

%

Sì, avere una fede religiosa 26

Sì, costruire rapporti umani significativi 15

Sì, condurre una vita di cui si è soddisfatti 14

Sì, avere dei figli 13

Sì, impegnarsi per qualche ideale 5

No, niente 13

Altro 1

Il pensiero della morte non è particolarmente drammatico 5

Preferisco non pensarci 6

Non so - non risponde 2

7 - SE FOSSE POSSIBILE SCEGLIERE, LEI SCEGLIEREBBE DI MORIRE

SAPENDO DI ESSERE IN PUNTO DI MORTE O NON SAPENDOLO?

%

Preferirei non saperlo 44

Preferirei saperlo 26

Preferisco non pensarci 14

La cosa mi è indifferente 6

Non so - non risponde 10

8 - E NEL CASO LEI FOSSE AFFETTO DA UNA MALATTIA INGUARIBILE

E MORTALE, PREFERIREBBE ESSERE INFORMATO SULLA SUA

SITUAZIONE, O NON ESSERE INFORMATO?

%

Preferirei essere informato 48

Preferirei non essere informato 27

Preferisco non pensarci 14

La cosa mi è indifferente 3

Non so - non risponde 8120

9 - LA LEGGE ITALIANA PREVEDE CHE I TRATTAMENTI SANITARI

SIANO DI REGOLA VOLONTARI E CHE PERCIÒ POSSANO ESSERE

RIFIUTATI DAL MALATO. SE LEI FOSSE AFFETTO DA UNA MALATTIA

INGUARIBILE, CON SOFFERENZE, NELLE ULTIME FASI DELLA SUA

VITA, COSA CHIEDEREBBE?

%

Terapie e interventi medici che abbiano

come scopo principale la riduzione della sofferenza 38

Lascerei fare ai medici 18

Un intervento che mi faccia morire subito, senza dolore 15

Terapie e interventi medici che abbiano

come scopo principale il prolungamento della vita 13

Preferisco non pensarci 11

Non so - non risponde 5

10 - NEL CASO LEI FOSSE AFFETTO DA UNA MALATTIA INGUARIBILE,

CON SOFFERENZE, LEI PREFERIREBBE TRASCORRERE GLI ULTIMI

TEMPI DELLA SUA VITA:

%

A casa 64

In ospedale 12

Preferisco non pensarci 11

La cosa mi è indifferente 7

Non so - non risponde 6

Il malato

Nel malato affetto da una patologia cronico-evolutiva, se la possibilità di morire,

fino a poco tempo prima, era vissuta sotto forma di una “spada di Damocle” o di

un “fantasma”, con l’avanzamento della malattia diviene una realtà.

Anche se nel paziente non è sempre completo il grado di consapevolezza della

gravità della malattia, il suo stato psicologico è comunque alterato da tutti i

cambiamenti di vita, di immagine del proprio corpo, di pensiero e di progettualità

ad essa legati.

Nelle cure del malato in fase terminale deve essere prestata la massima attenzione

ai problemi emozionali che l’evoluzione della malattia comporta. Oltre alla sofferenza

per la sintomatologia fisica che può manifestarsi con dolore, difficoltà a respirare,

nausea, vomito, piaghe da decubito, è possibile rintracciare delle costanti che, a loro

volta, interagiscono con la sintomatologia fisica, inasprendola:

  • la paura che il dolore o gli altri sintomi possano divenire incontrollabili
  • la paura di morire
  • la paura di perdere l’autocontrollo mentale e/o fisico
  • la paura di essere respinti o rifiutati o di perdere il proprio ruolo in famiglia
  • la preoccupazione di sentirsi un peso eccessivo per la famiglia.

Elisabeth Kubler-Ross, con grande semplicità, ha illustrato le principali fasi che

attraversa l’ammalato quando la malattia assume uno sviluppo cronico ed irreversibile:

  1. la negazione
  2. la rabbia
  3. il patteggiamento
  4. la depressione
  5. l’accettazione.

Sono fasi da non considerarsi a sviluppo cronologico, ma che si intrecciano e

risolvono a seconda delle reazioni che provocano nell’ambiente.

Possono svolgersi in poche ore o ripercorrere i lunghi tempi dal momento della

diagnosi-sentenza a quello della morte. Determinano, cioè, il percorso del lento

morire psicologico, strettamente legato al morire sociale, morale e fisico che

accompagna le ultime evoluzioni della malattia.

La prima fase è caratterizzata dalla negazione, dal rifiuto di voler affrontare la

propria morte, di prendere coscienza che ciò che si sta vivendo è il segno della

progressione della malattia, del peggioramento.

Quanto più la malattia avanza, tanto più questa debole difesa viene a perdere il suo

potere.

Nella seconda fase emerge la rabbia. La collera è rivolta verso il destino (“perché

proprio a me?”) e verso tutto ciò che è messaggio di vita che continua, ma solo per

gli altri.

La rabbia è per l’inganno subito, per il doppio gioco del dire, non dire e non voler

far sapere che ha caratterizzato lunghi periodi di relazioni, anche intime.

L’ostilità è rivolta soprattutto a chi sta più vicino, a chi si rende più disponibile, a

chi si ama di più, perché si pensa che questo affetto verrà tradito.

La fase del patteggiamento è ancora una fase progettuale, quella del sogno

irrealizzato, dell’estrema speranza. Si tenta il compromesso con Dio, con i medici,122

con chiunque si abbiano dei “conti in sospeso”: si barattano mesi, giorni di vita,

sollievo dal dolore con offerte, revisioni testamentarie, donazioni d’organo, ecc. I

sentimenti di “hopelessness” (non c’è più speranza) e di “helplessness” (nulla mi

può aiutare) possono essere respinti in questa fase; se avviene il contrario a volte

assistiamo a quei crolli particolarmente veloci delle difese biologiche e quindi

all’avvento della morte prematura. La depressione prende sempre più piede con il

progredire dei sintomi. Possiamo distinguere due tipi di depressione: una reattiva

ed una preparatoria. Reattiva a una sconfitta su tutti i fronti, per tutto ciò che si è

perso, per il sopravvento che una malattia ed il suo strascico sintomatologico può

prendere su ogni aspetto del vivere. Perdita dei rapporti sociali, perdita della vita

relazionale, perdita di autonomia sia fisica che decisionale, perdita della propria

immagine corporea, ecc.

La depressione preparatoria è, invece, funzione delle perdite che si stanno per

subire: dagli oggetti affettivi alla propria vita. Paura dell’ignoto e dell’abbandono

emotivo ed assistenziale. Consapevolezza del proprio avvicinarsi alla morte e delle

difficoltà di relazione che questo provoca nel proprio ambiente, non solo familiare,

ma anche sanitario.

L’ultima fase è quella dell’accettazione. In questo stadio il paziente potrebbe

raggiungere, se ben sostenuto, l’accettazione del suo destino. Più favorito nell’ottenere una accettazione della propria morte è colui che sente che in qualche modo la propria esistenza continuerà in un’altra forma di vita (dimensione ultraterrena o reincarnazione) o attraverso altre persone (nel ricordo di chi resta). Grande difficoltà ad accettare la propria morte ha, di converso, chi sente di non avere più il tempo per realizzare qualcosa di molto importante, chi sente di non essere riuscito a raggiungere un obiettivo che si prefiggeva.

Nel malato quasi sempre ritroviamo la paura di morire con sofferenza, paura che, in alcuni casi, lo porta a richiedere anticipatamente di morire. Il controllo del dolore e degli altri sintomi e l’attenzione alla dimensione psicologica possono permettere una considerevole riduzione della richiesta di porre fine alla vita. In questo senso le Cure Palliative possono essere considerate un’importante alternativa all’eutanasia. Cicely Saunders notava come un malato senza dolore, senza altri sintomi e con una persona accanto molto raramente rivolgeva questa richiesta. Può però capitare, anche se in misura limitata e senza una esplicita richiesta di morire, che il malato esprima il disagio di continuare a vivere. Le scadute condizioni fisiche e la mancanza di autonomia che ne consegue inducono inevitabilmente, nella mente del malato, un profondo senso di inutilità della propria esistenza: “Costringo mia moglie ad assistermi giorno e notte. E’ esausta, non è giusto che approfitti così di una persona che amo”. “Sono mesi che mio figlio non esce di casa a divertirsi, gli sto rovinando l’esistenza”. “Sono diventato solo un peso per tutti, spero di morire al più presto”.

Può essere importante, in queste occasioni, creare le condizioni perché sia possibile un dialogo con il malato, così da permettergli di considerare alcuni aspetti che possono dare un significato alla sua vita. Di seguito viene riportato un colloquio che può essere considerato paradigmatico (O=Operatore dell’équipe di cure palliative; M=Malato).

O - “Quando mi ha detto che più di ogni altra cosa è stato l’aver avuto dei figli che

ha dato un senso alla sua vita, intendeva nell’averli concepiti o partoriti?”.

M - “No di certo, intendevo nell’averli cresciuti!”.

O - “Per averli cresciuti si riferisce forse all’aver provveduto ai loro bisogni di

nutrimento, ad un luogo per dormire, alla cura delle malattie?”.

M - “Nella nostra società ci sono molte organizzazioni che sono in grado di fare

questo, non è necessario che ci sia un padre ed una madre. Intendevo invece di aver loro insegnato qualcosa”.

O - “Lei sa che ci sono tanti argomenti e tante forme di insegnamento. Si può

insegnare matematica o geografia, si può insegnare che qualcosa è giusto o sbagliato, si può insegnare dando il buono o il cattivo esempio”.

M - “Credo che l’insegnamento più importante che ho dato ai miei figli sia stato

attraverso l’esempio di come affrontare la vita”.

O - “Cosa intende per insegnare ad affrontare la vita?”.

M - “Durante la nostra esistenza ci troviamo spesso di fronte a situazioni difficili;

è proprio il modo in cui le affrontiamo il più grande insegnamento che possiamo

dare ai nostri figli”.

O - “Lei pensa che la morte che noi tutti un giorno dovremo affrontare possa essere

considerata una prova della vita?”.

M - “Certo che sì!”.

O - “Lei pensa che il modo con cui affronteremo questo difficile periodo possa

risultare importante per i suoi figli e che resterà fortemente impresso nei loro

ricordi?”.

M - “Sì”.

O - “Forse non ha considerato a sufficienza quanto in questo momento sta insegnando a chi le sta vicino. Anche se la sua sofferenza non è elevata si sente dipendente dagli altri, si sente di peso e inutile. Eppure in questo momento, forse senza rendersene conto, sta dando un prezioso insegnamento ai suoi figli, ai suoi cari, ai suoi amici; sta insegnando loro come una persona può vivere con dignità fino all’ultimo; come nell’affrontare ogni difficoltà della vita non sono necessari degli atti eroici, non occorre andare a testa alta incontro ai proiettili del nemico, ma non occorre nemmeno fuggire o negare la realtà”.

M - “La ringrazio di ciò che mi ha detto, ci penserò sopra. Non creda però di avermi

convinto con le sue belle parole”.

O - “Non era mia intenzione farle cambiare idea”.

Nel malato in fase terminale sono anche molto frequenti le manifestazioni di

depressione e ansia. In uno studio realizzato su 240 soggetti, dei quali 160 in fase

avanzata della malattia e 80 liberi dalla malattia, era emerso che il 55% dei pazienti

appartenenti al primo gruppo contro il 36% dei pazienti appartenenti al secondo

gruppo manifestavano problemi di depressione valutata mediante l’uso del

questionario M.M.P.I. (Minnesota Multiphasic Personality Inventory).

La famiglia

L’avanzamento della malattia neoplastica oltre a produrre gravi ripercussioni

psicologiche sull’ammalato determina un profondo coinvolgimento emozionale nei

famigliari.

È frequente che il famigliare risenta di:

  • uno stato di profondo abbattimento per la futura morte del malato
  • un senso di colpa legato all’impotenza per non riuscire ad arrestare la progressiva

evoluzione della malattia

  • preoccupazioni per i possibili cambiamenti economici
  • un isolamento da parte di amici, conoscenti, vicini di casa
  • un crollo psicofisico causato dall’assistenza estenuante.

In uno studio realizzato su di un’ampia casistica di malati oncologici e di loro

famigliari era emerso che:

  • l’ansia era sensibilmente più elevata nei pazienti in fase avanzata o terminale

della malattia tumorale, rispetto ai pazienti liberi da malattia

  • 1’entità dello stato d’ansia dei famigliari aveva dei valori comparabili a quello

dei malati.

È stato fatto osservare che il dolore dell’ammalato in fase terminale è un dolore

“totale” perché costituito da tre componenti che interagiscono tra di loro: il dolore

fisico, il dolore psicologico ed il dolore spirituale. Alla luce dei problemi riscontrati

nei famigliari è probabilmente importante allargare il tema della sofferenza

dell’ammalato all’intera famiglia che non può essere esclusa dall’intervento

assistenziale.

Dr Aldo Schiavone  Psicologo clinico  Psicoanalista  Gruppoanalista  Psicoterapia infantile individuale di coppia.

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